Sessant’anni fa, Totò riuscì a vendere la Fontana di Trevi per 500mila lire. Oggi, la Corte dei Conti sta ricostruendo una truffa complessa da 2,2 milioni di euro per un esproprio inesistente nella zona del lago di Telese Terme. Incredibilmente, questa volta non è stato Decio Cavallo a cadere nella trappola, ma addirittura il Provveditorato alle opere pubbliche per la Campania.
Tutto ha avuto inizio nel novembre del 2018, quando un’informativa della Guardia di Finanza di Modena relativa a un’indagine della Dda di Bologna ha rivelato l’esistenza di un indennizzo espropriativo da 2,2 milioni di euro riscosso da una società legata alla ndrangheta per alcuni terreni sui quali avrebbe dovuto essere costruita la caserma dei vigili del fuoco di Telese. La causale del pagamento era costituita da una sentenza della Corte d’Appello di Napoli che, almeno in apparenza, aveva deciso in grado d’appello su una domanda risarcitoria avanzata per un presunto danno da occupazione illegittima di suoli. Tuttavia, la sentenza si è rivelata inventata: in seguito a verifiche presso la cancelleria della Corte d’Appello di Napoli, è emersa la totale falsità del titolo giudiziale. Non solo, i numeri di ruolo si riferivano a una sentenza completamente diversa e non è stata trovata alcuna causa civile presso la Corte d’Appello di Napoli che coinvolgesse la società beneficiaria del pagamento.
Questa vicenda, chiamata “affaire Oppido”, è stata inclusa nell’operazione “Grimilde”, condotta in Emilia Romagna con 76 persone indagate, di cui 16 arrestate, e 16 aziende sotto monitoraggio.
Le indagini della Procura contabile campana si sono concentrate sul decreto con il quale il Provveditorato alle opere pubbliche ha autorizzato il pagamento dell’indennità di esproprio, stabilendo persino la regolazione con Sop (speciale ordine di pagamento) firmato dal provveditore, a causa della mancanza di fondi. Inoltre, il Servizio gestione amministrativa degli interventi, che solitamente è coinvolto in pagamenti di tale entità, non è stato coinvolto nella procedura, che è stata gestita interamente dal Servizio affari legali e contenzioso. Da qui il procedimento contro il responsabile delle istruttorie Angelo Iermano e il funzionario del servizio affari legali Renato De Simone. Ora, la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti ha emesso una sentenza definitiva. Secondo il collegio giudicante, dalle prove documentali e dalle testimonianze raccolte durante le indagini, sono emerse gravi irregolarità nell’intera procedura che hanno portato al pagamento indebito. “La vicenda – recita la sentenza – è stata caratterizzata da un percorso amministrativo conclusosi con l’ordine di pagamento, solo grazie a due fattori critici: la partecipazione di un dipendente del Provveditorato a un piano fraudolento giudizialmente accertato e la mancanza di un’adeguata azione di controllo da parte della dirigenza di un ufficio interno, azione di controllo che, se fosse stata effettuata in modo efficace, avrebbe impedito il verificarsi di danni all’Erario”. La sentenza si sofferma anche su “presumibili limiti e lacune organizzative generali della complessa sede centrale del Provveditorato”. In particolare, riferendosi all’attività di De Simone, la magistratura contabile parla di una certa “disinvoltura operativa che gli era permessa dalla sua lunga presenza in servizio, ma soprattutto dalla presunta negligenza e confusione, sia sul piano organizzativo che funzionale, di quel medesimo ufficio e dell’intera macchina organizzativa del Provveditorato Opere pubbliche della Campania”. Dopo aver accertato la responsabilità di entrambi gli imputati, seppur in misura diversa, De Simone è stato condannato a pagare, a favore del Provveditorato, la somma di 2,7 milioni di euro (importo rivalutato) e Iermano, per il quale il collegio ha escluso la consapevole partecipazione alla produzione dell’evento dannoso e, quindi, il dolo, è stato condannato a pagare la somma di 272mila euro.