Il mistero dell’omicidio di Marta Russo nella città universitaria della Sapienza di Roma rimane irrisolto dopo ventisei anni. Marta, una studentessa di giurisprudenza e ex campionessa regionale di scherma, fu colpita da un proiettile calibro 22 che le causò gravi danni cerebrali. I genitori, seguendo il desiderio di Marta, donarono i suoi organi dopo la constatazione della morte cerebrale.
L’omicidio è stato oggetto di un complesso caso giudiziario che ha attirato molta attenzione mediatica. Le prime indagini non sono riuscite a determinare un movente, ipotizzando scambi di persona, “delitto perfetto”, terrorismo e sparatoria accidentale. Anche l’atteggiamento dei due pubblici ministeri è stato criticato per essere eccessivamente inquisitorio.
Nel 2003, sulla base di una testimonianza controversa, l’assistente universitario di Filosofia del diritto Giovanni Scattone è stato condannato definitivamente per omicidio colposo aggravato, mentre il suo collega Salvatore Ferraro è stato condannato solo per favoreggiamento personale. Entrambi hanno sempre dichiarato di essere innocenti.
Dopo tutti questi anni di processi, indagini, testimonianze e sentenze, la verità sulla morte di Marta non è ancora stata scoperta. L’arma del delitto, una pistola calibro 22, non è mai stata trovata e il movente rimane un mistero. Si ipotizza che il colpo sia stato parte di un gioco che è finito male, ma nel campo del diritto penale sparare un colpo con un’arma da fuoco implica l’accettazione del rischio che quel colpo possa ferire o uccidere una persona, anche se non era intenzionale.
Alla fine del processo, nonostante la richiesta di pene esemplari da parte della Procura, Scattone e Ferraro sono stati condannati a pene relativamente lievi. La sentenza ammette la sconfitta della giustizia, affermando che Scattone ha sparato, ma non si sa né perché né come. Il mistero dell’omicidio di Marta Russo rimane irrisolto, lasciando ancora molte domande senza risposta.

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