La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato da Diego Armando Maradona nella sua battaglia legale con l’Agenzia delle Entrate. Questa decisione segna un nuovo capitolo nella lunga diatriba giudiziaria che ha coinvolto il campione argentino e l’ente fiscale italiano per molti anni. La storia ha avuto inizio negli anni ’80, quando Maradona era al suo apice a Napoli e i suoi compensi raggiungevano cifre miliardarie. Si sospettava che alcuni diritti di immagine pagati a società estere fossero un modo per mascherare stipendi al fine di evitare il pagamento delle tasse in Italia. L’accusa coinvolse non solo Maradona, ma anche il Calcio Napoli e altri due calciatori brasiliani, Alemao e Careca. Per gli altri la questione si risolse con un condono e l’estinzione del debito, ma non per Maradona. Da allora è in corso una battaglia legale che continua ancora oggi, a distanza di oltre tre anni dalla morte del calciatore. La decisione della Cassazione dà ragione a Maradona e rimanda la causa alla commissione tributaria regionale, che dovrà esprimersi nuovamente sulla vicenda. In caso di un giudizio definitivo negativo, l’eventuale debito residuo ricadrebbe sulle spalle degli eredi. Questa sentenza della Cassazione si basa sui ricorsi presentati dagli avvocati di Maradona contro il rigetto delle richieste di autotutela avanzate dal calciatore nel 2015 in relazione a un avviso di mora per un debito di milioni di euro di Irpef, sanzioni e interessi relativi agli anni 1985-1990. Maradona chiedeva che fosse esteso anche a lui il condono di cui aveva beneficiato il Calcio Napoli per la stessa vicenda. Le commissioni tributarie rigettarono i ricorsi, portando alla decisione di ricorrere in Cassazione. La nuova sentenza della Corte si collega alla decisione del marzo 2021, che stabiliva che Maradona poteva beneficiare del condono e che i giudici avrebbero dovuto valutare solo il debito residuo nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Con l’accoglimento del ricorso, la Cassazione ha sancito la violazione di legge commessa dall’Amministrazione nell’aver negato l’autotutela a Maradona. La sentenza afferma che se il pagamento viene effettuato da un sostituto, come nel caso dell’adesione al condono da parte del Calcio Napoli, l’obbligazione del sostituito si estingue solo per la parte pagata o per cui è stato applicato il condono. Pertanto, in assenza di una valutazione del debito residuo da parte dei giudici, si verificherebbe l’effetto della doppia imposizione denunciato nel ricorso. Tutto è iniziato con un accertamento fiscale nei confronti del Calcio Napoli e dei tre calciatori: Maradona, Careca e Alemao. Si sospettava che alcuni diritti di immagine verso società estere fossero un modo per evitare di pagare le tasse all’Agenzia delle Entrate. Il Calcio Napoli, Careca e Alemao presentarono immediatamente ricorso, mentre Maradona si attivò in un secondo momento. L’Agenzia delle Entrate contestò a Maradona un debito di circa 37 milioni di euro, più della metà dei quali erano interessi di mora. Da quel momento iniziò una lunga battaglia legale fatta di ricorsi e sequestri che sono passati alla storia, come quello dei due Rolex in oro sequestrati a Maradona nel 2006, appena atterrato a Napoli per una partita di beneficenza (furono successivamente ricomprati da alcuni amici del calciatore) e quello degli orecchini di diamanti tolti al Pibe durante una vacanza a Merano (furono poi venduti all’asta).