Ieri, la comunità di Montemarano si è svegliata senza. Senza Giuseppe. Anzi, senza Peppo come lo chiamavano gli amici. La cronaca fa il suo lavoro e racconta ciò che è successo: un giovane imprenditore si è tolto la vita. La superficialità dei pettegolezzi del paese (“non gli mancava nulla”) si rifugia sempre nel banale moralismo del non doveva, del non poteva accadere. Che è poi la stupida arroganza dell’essere umano di voler spiegare tutto con il senso di colpa, proprio e degli altri. Anche per l’indicibile.

Infatti, qui non c’è colpa, se non di tutta la società – cioè di tutti noi – che ha rinunciato al suo tratto costitutivo: la solidarietà, da concepire e praticare per soccorrere non solo la materialità dell’esistenza, ma anche il mistero interiore che avvolge ogni persona. Giuseppe è stato coraggioso e ha lottato fino alla fine. La sua grande vitalità era sorvegliata e minacciata dal terribile demone del ricordo, che si nasconde subdolamente in un inestinguibile e infondato senso di colpa.

Appunto. Si è detto che “La natura ha concesso all’uomo la felice capacità di dimenticare. Altrimenti non sopporterebbe la vita”. Ma la capacità di dimenticare se stessi è come il perdono: richiede un esercizio continuo e indefinito, necessariamente irrazionale. Tanto è vero che si usa definire “dono divino”. Come a dire che, se non siamo assistiti da un aiuto soprannaturale, corriamo il costante rischio di soccombere. Quando e se non ce la facciamo, non è colpa nostra, né di chi ci sta vicino. Rispettiamo il mistero dell’impossibilità di dimenticare.

Mino Mastromarino

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