Mancati accertamenti sul racket del ‘caro estinto’, intercettazioni dubbie sulla voce di un partecipante alla raccolta dei proventi estorsivi da consegnare alla famiglia di ‘Cicciotto e’ mezzanotte, le sole dichiarazioni di un imprenditore estorto per un episodio di usura riconducibili a un imputato su cui non è stato possibile riferirne il contenuto, dubbi sull’effettiva partecipazione a una estorsione ai danni di un imprenditore.

E’ quanto è emerso dal controesame dell’ufficiale dell’Arma nel processo che si sta celebrando dinanzi alla Prima Sezione del Tribunale di Napoli Nord presieduta dal giudice Eleonora Pacchairini a carico di 7 persone coinvolte nella maxi operazione dei carabinieri del comando provinciale di Caserta sulla riorganizzazione del clan dei Casalesi, in particolare delle fazioni Schiavone e Bidognetti.

Gli avvocati Alfonso Quarto, Ciro Della Torre, Annalisa Recano, Tammaro Diana nell’interesse dei loro assistiti – i fratelli Ernesto e Giovanni Corvino e Vincenzo Simonelli (per Quarto), Gabriele Salvatore (per Della Torre e Recano), Giuseppe Spada (per Diana) – esaminando il carabiniere hanno fatto emergere zone d’ombra riguardo alle contestazioni mosse dai magistrati antimafia. Secondo quanto ricostruito dalla Dda, i fratelli Corvino con Francesco Cerullo partecipavano al clan come soci del sodalizio nelle imprese funerarie a loro riconducibili imponendo il monopolio per la gestione dei funerali e versando nelle mani di Vincenzo D’Angelo i proventi derivanti dalla società occulta per il sostentamento diretto della famiglia Bidognetti.

Dal controesame del teste è però emerso che non sono stati effettuati accertamenti sull’effettiva posizione dominante del consorzio I.F.A. nel settore dei funerali tanto da imporre un prezzo unico per le esequie. E’ venuto fuori poi che Ernesto Corvino più volte aveva denunciato le estorsioni subite dagli esponenti del clan piuttosto che esserne sodale. Per la Dda partenopea Gabriele Salvatore alias o spagnuol, insieme a Nicola Sergio Kader aveva partecipato a un episodio usuraio ai danni di un uomo. La contestazione però è riconducibile alle sole dichiarazioni della vittima e in particolar modo dopo il ritrovamento a casa di Kader di un assegno dell’imprenditore che ha tirato in ballo Salvatore. Dichiarazioni su cui l’ufficiale non ha potuto riferire e che lasciano dubbi per i legali alla partecipazione del loro assistito. Per i magistrati antimafia Vincenzo Simonelli partecipava al clan raccogliendo i proventi estorsivi da Giosuè Fioretto consegnandoli ai Bidognetti. Il legale ha eccepito l’ambiguità di una intercettazione dove veniva indicato l’imputato senza che fossero stati fatti appostamenti o monitoraggi. A Spada è contestata una estorsione in concorso Giosuè Fioretto e Giovanni Stabile ai danni di due fratelli imprenditori nel settore dei metalli. Dubbi eccepiti anche in questo caso dal legale sull’effettiva partecipazione all’episodio estorsivo.

Sono finiti sotto processo Angelo Zaccariello, Gabriele Salvatore alias o spagnuol, Ernesto Corvino, Giovanni Corvino, Giuseppe Spada o zingar, Biagio Francescone, Vincenzo Simonelli alias papele. Agli indagati oltre al reato associativo, sono stati contestati reati fine quali estorsioni in danno di numerosi operatori commerciali (al fine di piegarne la volontà, un imprenditore sarebbe stato attinto alle gambe da colpi d’arma da fuoco), traffico di sostanze stupefacenti e contestuale controllo dell’attività di cessione di droga realizzato da terzi soggetti, che sarebbero stati costretti a versare denaro a esponenti del clan per garantirsi la gestione delle piazze di spaccio secondo quanto ricostruito dai magistrati antimafia partenopei Maurizio Giordano, Graziella Arlomede, Vincenzo Ranieri, Fabrizio Vanorio.

Si torna in aula nel mese di marzo per l’escussione dei pentiti Vincenzo D’angelo e Antonio Lanza. Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Alfonso Quarto, Tammaro Diana, Ciro Della Torre, Domenico Della Gatta, Annalisa Recano, Pasquale Diana, Umberto Costanzo, Claudio Sgambato, Cristian Aniello.

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