Il suo racconto commovente e sincero ci fornisce un’idea precisa di quella tragedia che ha scosso l’intera Italia. L’associazione ha descritto la scena in modo toccante: guardando in faccia quelle bambine sporche di terra e detriti, lacrime e sangue, con paura negli occhi, abbiamo premuto il pulsante di emergenza senza sapere davvero quanto grave fosse la situazione. Le abbiamo portate nella sala dei codici rossi, dove tutti i miei colleghi, medici e infermieri, si sono precipitati come un branco, concentrati sui parametri vitali, sull’accesso venoso, sui farmaci, sull’ossigeno, sul sangue.

Federica racconta di aver fatto appello a uno degli uomini che avevano portato le bambine, chiedendogli di registrare i loro nomi. Ma l’uomo ha risposto di non essere il padre e di non sapere nemmeno chi fosse, poiché le avevano trovate sotto le macerie e non sapeva se i genitori fossero ancora vivi. Questa rivelazione ha sconvolto Federica, che si è resa conto che i suoi colleghi erano tutti impegnati nei codici rossi.

Una nuova ambulanza è arrivata, suonando con insistenza come quella precedente: sono corsa fuori e con l’aiuto di un signore ho estratto M., il cui femore era completamente separato dall’anca, con un frammento quasi esposto. Lo abbiamo portato all’interno insieme a una barella. Ma non appena mi sono girata, ecco che sono arrivate tutte, una dietro l’altra, sette bambine terrorizzate, sporche, bagnate, insanguinate.

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