L’analisi del garante dopo il nono gesto estremo avvenuto in Campania

Il suicidio in carcere rappresenta un fallimento del ruolo punitivo dello Stato e sottolinea l’inadeguatezza del sistema penitenziario nel gestire i disagi dei detenuti. Nell’ultimo episodio avvenuto in Campania, un detenuto straniero di 32 anni con disturbi psichici si è tolto la vita, portando il numero totale di suicidi nell’anno a oltre 70, di cui più di 30 in celle di isolamento.

Il garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà, Samuele Ciambriello, ha sottolineato l’urgenza di affrontare la presenza di detenuti con problemi psichiatrici e la mancanza di personale specializzato. Propone l’assunzione di nuovi psichiatri e la creazione di un’unità operativa della salute mentale all’interno degli istituti penitenziari.

Il garante provinciale Carlo Mele ha denunciato la carenza di visite per i detenuti psichiatrici e ha evidenziato la necessità di attivare servizi di supporto adeguati. Nel caso specifico dell’istituto di Avellino, le visite in videochiamata sono state introdotte solo recentemente, dopo le segnalazioni del garante.

Il caso del detenuto Ogais, che ha aggredito agenti di polizia penitenziaria prima di suicidarsi nella sua cella di isolamento, mette in evidenza la gravità della situazione. Il garante Ciambriello ha sottolineato che i suicidi in carcere devono essere un campanello d’allarme per tutte le istituzioni coinvolte, compresa l’amministrazione penitenziaria, l’area sanitaria e il mondo giuridico-pedagogico.

Il fenomeno dei suicidi in carcere non può essere minimizzato, ma richiede azioni concrete per migliorare le condizioni di vita e la salute mentale dei detenuti. La politica deve prendere sul serio questa emergenza e adottare misure efficaci per prevenire ulteriori tragedie.

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