Aldo Bianchini
SALERNO – Esattamente trentadue anni fa, il 21 settembre 1992, un giudice del Tribunale di Salerno, il dott. Mariano De Luca, firmò un’ordinanza di rigetto della richiesta di scarcerazione per gravi motivi di salute avanzata dai difensori dell’ing. Raffaele Galdi (gli avvocati Dario Incutti e Antonio Zecca), il quale doveva ricoverarsi in un ospedale di Boston (USA) dove qualche mese prima dell’arresto era stato operato di tumore.
A distanza di trentadue anni è inutile ritornare sull’umanità o disumanità dell’ordinanza; sta di fatto, però, che Galdi morì qualche tempo dopo di tumore; ma la cosa che oggi più mi interessa è una parte del contenuto di quella ordinanza con cui il giudice per rigettare la richiesta descriveva la città di Salerno come un covo di personaggi simili a malfattori politici, amministrativi e istituzionali.
Ecco lo stralcio di quell’ordinanza emessa come una sorta di ricetta medica con tanto di diagnosi e prognosi:
“Non può dunque sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe delle istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari; lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale è nella vicenda processuale esemplarmente rappresentato e mostra, con la forza della protervia dei fatti, come l’abbandono di ogni principio morale, il disprezzo verso i valori fondamentali della vita associata, il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a sistema di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto, non meno di fenomeni delinquenziali assai più appariscenti ed eclatanti. Gli elementi probatori sin qui acquisiti, confermando puntualmente l’ipotesi accusatoria, hanno evidenziato non soltanto come protervia e scadimento morale possano indurre a ritenere fatto normale e fisiologico l’appropriazione privatistica di apparati e sistemi predisposti a tutela di interessi generali e collettivi, ma anche come ad una concezione così distorta non siano estranei professionisti stimati e di prestigio, esponenti di categorie cui certo non difettano gli strumenti per una corretta valutazione di simile forma di devianza… La prognosi comportamentale non può, dunque, che essere infausta”.
Ricordo benissimo quel clima che si respirava in città ed in tutta la provincia e devo ammettere, con il senno di poi, che gran parte dell’ordinanza del giudice De Luca era assolutamente veritiera; dichiaro di ammettere anche perché quell’ordinanza fu oggetto di mie varie contestazioni sul piano giornalistico fino al punto da beccarmi una diffida stragiudiziale notificatami dalla sezione salernitana dell’A.N.M. (Associazione Nazionale Magistrati), brevi manu e verbalmente, dall’allora responsabile di sezione dott. Bruno De Filippis.
Ho riproposto per l’ennesima volta il suddetto stralcio di ordinanza perché da tempo mi pongo una domanda: “Cosa è cambiato dopo oltre trent’anni?”.
In buona sostanza credo che non sia cambiato niente; quei loschi e maldestri personaggi dell’epoca, che gravitavano negli ambienti politici, sono stati sostituiti semplicemente da personaggi più attenti e molto più professionali.

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