Le mani della camorra sugli studi medici. È una storia difficile da raccontare, quella vissuta dalla dottoressa Marina Romano, uno dei nomi più noti e rispettati nel campo della medicina e chirurgia estetica napoletana. Un calvario che è durato più di dieci anni, segnato da minacce, vessazioni, ricatti e persino da una violenta aggressione subita nella sua casa a Posillipo. Una storia che dimostra come la criminalità organizzata non risparmi, a volte, neanche i professionisti. Tutto è iniziato alla fine degli anni ’90, quando la scuola di formazione professionale “Margot” gestita dalla dottoressa Romano è stata oggetto di un ingiusto sequestro amministrativo. Una vicenda torbida legata a gelosie professionali che si è misteriosamente intrecciata con i primi contatti della criminalità organizzata dei clan di Fuorigrotta: individui loschi si sono presentati nello studio della dottoressa Romano come clienti, ma in realtà erano emissari del clan dei “Calascioni”, uno dei più pericolosi dell’area occidentale, con legami solidi con le cosche di Secondigliano e della Torretta di Mergellina.

Prima di chiedere denaro, il gruppo ha pianificato un piano per “acquisire” l’attività professionale con metodi mafiosi; ma per mantenerla in vita era necessario un laureato, e per questo i camorristi della zona occidentale e di Secondigliano si sono presentati a casa della dottoressa e hanno fatto una richiesta diretta: “Devi cederci immediatamente lo studio – racconta la professionista – ti conviene. E non osare rivolgerti alla polizia. Naturalmente ho rifiutato il ricatto, e così hanno iniziato a perseguitarmi. Prima con telefonate di notte, dove una voce mi diceva dove si trovava il mio figlio maggiore, cosa indossava e quando era uscito di casa; poi minacciando di ucciderli se non avessi pagato il “pizzo”, in attesa di cedere la scuola “Margot”. “La vigilia di Natale sono tornati, presentandosi di nuovo a casa – continua Romano – e hanno iniziato con la violenza: sono stata picchiata selvaggiamente, nonostante avessi accettato di versare la prima rata dell’estorsione, 50 milioni di lire, lasciati in un sacchetto della spazzatura a un’ora precisa in un bidone dell’immondizia che mi era stato indicato. L’ho fatto perché temevo ritorsioni sui miei figli, il più piccolo dei quali aveva solo tre anni “. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. “Ho confidato in due amici magistrati e in un alto ufficiale dei carabinieri. E ho deciso di presentare denuncia. Da quel giorno, sotto casa c’erano alcuni carabinieri in borghese: e quando sono tornati, in tre, per continuare a fare pressioni, i carabinieri li hanno arrestati in flagranza. Nel frattempo, il gioco delle alleanze criminali aveva coinvolto sempre più delinquenti che avevano cercato in me una miniera d’oro: tra di loro c’erano anche elementi di spicco della camorra dell’agro nocerino-sarnese “. Da quella denuncia sono scaturite importanti indagini che hanno portato all’arresto di decine di camorristi, poi condannati per questo e altri episodi di estorsione. “Per questo – conclude la dottoressa Romano – oggi dico a chi è vittima di violenze simili che denunciare è l’unica via d’uscita dall’inferno”.

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