Il carcere di Santa Maria Capua Vetere è stato nuovamente teatro di una tragedia: un uomo di 53 anni, V.B., si è tolto la vita nella sua cella, aggiungendosi alla lista delle vittime di un sistema carcerario che sembra aver perso ogni traccia di umanità.
Ogni volta che sentiamo di un suicidio in carcere, non dobbiamo limitarci a vedere un numero, ma dobbiamo ricordarci che dietro ogni statistica c’è una persona, con una storia di sofferenza e disperazione. Le carceri italiane non dovrebbero essere luoghi di punizione, ma di rieducazione e reinserimento sociale. Purtroppo, troppo spesso diventano delle tombe, dove uomini e donne vengono dimenticati e lasciati soli.
Il garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà, Samuele Ciambriello, ha giustamente sollevato la questione, sottolineando che è ora di alzare la voce e fermare questa carneficina. È necessario un cambiamento radicale, investimenti seri nella salute mentale, nella riabilitazione e nel reinserimento sociale dei detenuti. Ogni suicidio in carcere è un fallimento dello Stato, un’ammissione di incapacità. È giunto il momento di agire, di umanizzare il carcere e dare una seconda possibilità a chi ha commesso errori.
Le carceri non dovrebbero essere luoghi di morte, ma di speranza e cambiamento. È imperativo che la società e le istituzioni si uniscano per porre fine a questa tragedia e garantire un futuro migliore per coloro che si trovano dietro le sbarre. È tempo di agire, di dare dignità e umanità a chi è in carcere e di lavorare insieme per un sistema penitenziario più giusto e compassionevole.