La Corte di Cassazione respinge il ricorso di Raffaele Capone contro la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Raffaele Capone, un trentenne di Caserta, contro la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.
Il provvedimento, emesso inizialmente dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e confermato dalla Corte di Appello di Napoli, prevedeva una durata di un anno per la misura, adottata a seguito del giudizio di persistente pericolosità sociale del ricorrente.
Capone, assistito dal proprio avvocato, aveva impugnato il decreto sostenendo che la misura fosse basata su valutazioni generiche e non aggiornate alla sua reale condizione, evidenziando come l’ultimo reato commesso risalisse al 2021 e sottolineando il suo reinserimento sociale grazie al percorso di studi intrapreso.
Tuttavia, la Cassazione ha respinto il ricorso, sottolineando che le argomentazioni avanzate non erano ammissibili in sede di legittimità. Secondo i giudici, il provvedimento della Corte d’Appello si basa su una valutazione completa e logica che tiene conto della lunga storia criminale dell’imputato, culminata con una condanna per tentato omicidio nel 2021.
Nel dispositivo, la Corte ha richiamato i gravi precedenti del trentenne, evidenziando una “continuità e un crescendo criminale” dal 2015, con reati contro la persona, tra cui lesioni personali e rissa. La condanna a sette anni e un mese di reclusione per tentato omicidio confermerebbe l’attualità della pericolosità sociale dell’imputato, ritenuta solo parzialmente mitigata dalla condizione detentiva.
Il Tribunale aveva inoltre preso in considerazione il percorso di studi intrapreso, riducendo la durata della sorveglianza speciale da due anni a uno. Tuttavia, la Cassazione ha ribadito che il tempo trascorso dall’ultimo reato non è sufficiente a escludere la pericolosità, trattandosi di un intervallo in cui l’uomo era sottoposto a misure restrittive.
La Suprema Corte ha infine condannato Capone al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.