LE INDAGINI DEL COMMISSARIO MARICONDA/3

Il marito era un uomo terribilmente distratto, insegna all’università, a Napoli

Veniva giù una pioggia sottile, e il viale sulla collina con i due filari di cipressi aveva il colore cupo del cemento bagnato. Il commissario Mariconda si alzò il bavero del cappotto.

«La signora è stata sepolta martedì – stava dicendo il magistrato, con quel cappello a quadretti – e venerdì ho ricevuto la lettera che sai».

Amici di lunga data, dai tempi dell’Università a Napoli, negli ultimi anni si erano persi di vista. «Mi piacerebbe sentire il tuo parere…».

Mariconda prese il pacchetto delle sigarette, lo rimise in tasca.

«Puoi fumare, se credi».

In quell’angolo, minuscoli tumuli con angeli di gesso.

«È più in là. Qui ci stanno i bambini».

La pietra grigia era spoglia, senza scritte.

«Che cosa ha detto il medico?».

«Edema polmonare, insufficienza respiratoria».

«Era già stata malata?».

«In gioventù. Una pleurite».

«Perché ti ha preoccupato quella lettera? Ne riceviamo un mucchio, in questura».

«Mi è sembrato troppo… come dire? Minuziosa per essere infondata, o diffamatoria. Per quanto…».

«Com’era?» lo chiese fissando la tomba.

«Attraente. Ancora piena di… di desideri, amava viaggiare».

«La conoscevi bene?»

Il magistrato tossì, si passò la mano sulla bocca, sfiorando la barba brizzolata .

«Ci conosciamo tutti qui, ma noi eravamo amici, mia moglie, il marito di lei… molto amici».

«Tu in particolare, immagino…».

Si guardarono, per un istante.

«Con lei, intendo, eravate…»

«Da un anno. È che…»

«Non hai bisogno di giustificarti, con me».

«Ti ringrazio… è stata la nostra stessa consuetudine, il vederci ogni sabato sera, a rendermela indispensabile. E le vacanze insieme, a Positano, Amalfi, Capri, Vienna, Salisburgo… tutti e quattro insieme . Era piacevole conversare con lei, ci scambiavamo i libri, avevamo gli stessi gusti, Stendhal, Dostojievskj, Tolstoi, Flaubert. Poi, sai come succede…»

«Dove vi incontravate?».

-«In città, veniva giù il martedì, in centro. A me è rimasto un appartamento di mia madre, sai, quello vicino al tribunale. All’inizio pareva un rifugio».

Stavano uscendo sul piazzale e i cipressi avevano cambiato colore, sembravano più verdi.

«Poi quei mobili vecchi, quei tappeti, i quadri con quelle cornici nere, funeree… lei diceva che la casa era malinconica. Tetra, suggerivo io».

«Tua moglie non ha mai sospettato di nulla?».

«No. Credo proprio di no. Lei è così… così integra».

«Nella casa c’è una portineria?».

«Sì. Ma non entravamo insieme. Lei veniva dopo di me. Se incontrava la portinaia faceva il nome di un dentista, che aveva lo studio accanto».

«E il marito?».

«È un uomo terribilmente distratto, insegna all’università, a Napoli, scrive testi, un uomo intelligente, forse un po’ timido. Lei lo sposò quand’erano giovani e se ne pentì quasi subito. Gli voleva bene, sai, ma…».

«Quella lettera – disse Mariconda – quella lettera che hai ricevuto parlava di veleno. È così?».

«Diceva che lei era stata uccisa con qualche goccia di un erbicida dal nome strano, buffo direi. C’era scritto anche che era inutile esumare la salma, nessun perito avrebbe scovato tracce di quel veleno. La parola nessuno era sottolineata».

«L’hai distrutta, quella lettera, non è vero?».

«L’ho buttata nel fuoco, insieme con alcuni depliant pubblicitari. Non volevo che mia moglie leggesse una frase dove l’anonimo sottolineava che ero stato molto, molto amico della signora».

«Battuta a macchina su carta normale?».

«Carta bianca, comune».

«Hai guardato il timbro?»

«Imbucata a Napoli».

Giunti in fondo al viale si voltarono prima di salire sull’auto blu del magistrato. La pioggia era cessata e nel cielo era apparsa una striscia azzurra tra nuvole di cenere.

«Sospetti qualcuno dei vostri amici?».

«No».

«Hai avuto rapporti con qualche altra signora, qui del paese?».

«Pensi alla gelosia? Lo escludo. Quella lettera è stata scritta come se… non riesco a spiegarmi, come se…»

«Come se qualcuno ti volesse punire».

«Ecco».

«Infliggerti un castigo. Ricevendola ti saresti comportato da giudice o da colpevole?»

«Già».

«Quando è morta ti è dispiaciuto?».

«Oh, certo. Non ho chiuso occhio per qualche notte».

«Hai provato un vago senso di liberazione? Scusa, ma è naturale. Non ti sentivi più in colpa».

«In un certo senso hai ragione. Basta coi rimorsi. È tremendo, lo so».

«Quindi avresti dovuto soffrire di più, pagare di più, e allora… quale mezzo migliore di quella lettera?».

«Una vendetta? Soltanto una vendetta?».

«Che cosa insegna, all’università, il tuo amico, sì, insomma, il vedovo?».

«Agronomia, chimica, non so di preciso».

«Dio santo», disse Mariconda, aprendo la portiera dell’auto.

«Sarà stata uccisa, o no?», chiese il magistrato.

«Mi sa che non lo scopriremo mai. Agronomo, chimico, hai detto. Lui sapeva, sapeva tutto di voi due».

«No, non è possibile!», quasi urlò il magistrato.

«E lui sa tutto anche sui diserbanti, su quei veleni, insomma, che non lasciano traccia» .

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