“Faremo chiarezza nelle sedi opportune, abbiamo piena fiducia nella magistratura”. È quanto affermano i vertici aziendali della Cosmopol Spa, coinvolta in un’altra inchiesta dopo che la Procura di Milano ha commissariato l’azienda per denunce di caporalato presentate da alcuni ex dipendenti e dipendenti. Il magistrato Paolo Storari, a cui è stato affidato il fascicolo d’inchiesta, ha stabilito che l’amministratore giudiziario dovrà seguire solo i servizi di portierato e guardiania e non quelli fiduciari. Quindi l’attività dell’azienda proseguirà regolarmente, secondo i vertici aziendali che si dichiarano “sereni”. Il fascicolo d’inchiesta è stato aperto dopo la denuncia di una dipendente. Successivamente, altri dieci dipendenti hanno confermato quanto denunciato dalla donna. Dalle testimonianze raccolte dagli inquirenti è emerso un quadro poco rassicurante, con condizioni di lavoro pessime, episodi di body shaming e salari da fame.
Nelle 17 pagine del decreto che dovrà essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari, oltre alle testimonianze dei dipendenti che attestano salari al di sotto della soglia di povertà, sono contenute anche le minacce e le intimidazioni subite dai lavoratori se si opponevano. Minacce che prevedevano licenziamenti o cambi di posizione lavorativa. Secondo le indagini, si aggiunge anche uno stipendio non adeguato alle prestazioni lavorative. I lavoratori, stando a quanto emerso dalle indagini, sarebbero stati pagati 5 euro all’ora, per un salario mensile lordo di 950 euro (circa 650 euro netti). Una somma che, secondo gli inquirenti, non sarebbe proporzionata né alla qualità né alla quantità del lavoro svolto per garantire un’esistenza libera e dignitosa. È quanto affermato dal sostituto procuratore Paolo Storari. Nel fascicolo d’inchiesta sono riportate diverse testimonianze degli addetti in servizio raccolte dagli agenti del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Milano.
Secondo le dichiarazioni dei dipendenti durante le indagini, nonostante avessero contratti a tempo pieno, con 40 ore a tempo indeterminato e un orario di lavoro di 8 ore al giorno, alcuni di loro lavoravano fino a 240 ore al mese. Un dipendente ha dichiarato di essere stato costretto a lavorare durante i giorni di riposo o nei fine settimana, svolgendo turni giornalieri anche di dodici ore, percependo solo 870 euro lordi. Dall’inchiesta condotta dalla procura di Milano emerge che i dipendenti erano costretti a turni di lavoro estenuanti, anche attraverso intimidazioni o minacce. In un caso particolare, una dipendente madre di due bambini è stata costretta a licenziarsi a causa delle continue pressioni ricevute. Inoltre, dalle testimonianze acquisite dagli inquirenti emerge che chi si rifiutava di svolgere tali lavori gravosi, senza diritti minimi riconosciuti (come malattia e ferie retribuite), poteva essere trasferito in sedi lontane.