Il dramma di Salvatore Giordano: nove anni senza giustizia

Sono trascorsi nove anni da quando Salvatore Giordano, ancora un ragazzino, perse la vita in un letto d’ospedale dopo quattro giorni di coma a causa delle gravi ferite causate dalla caduta di calcinacci dalla facciata della Galleria Umberto I, nel cuore di via Toledo. Quei calcinacci colpirono solo lui: istintivamente, spingendoli via da sé, il giovane Salvatore salvò la vita a un paio di amici diventando l’unico bersaglio. “Era il 5 luglio 2014. Sì, sono passati nove anni e non è successo nulla. Il processo penale si è concluso con la condanna dei condomini e di due dirigenti comunali.” ricordano Angelo e Sergio Pisani, avvocati della famiglia Giordano. “Il giudice ha anche stabilito che l’Amministrazione dovrebbe pagare alla famiglia una provvisionale di 150mila euro ma a oggi non si è visto neanche un centesimo: è scandaloso. Il Comune ha indubbie responsabilità, quanto meno morali.” Il padre di Salvatore, Umberto, ha quasi rinunciato: “Non ci credo più. Hanno fatto solo chiacchiere e passerelle. Era una gara a chi la sparava più grossa. E quando si sono spenti i riflettori sono spariti tutti.”

Nessun risarcimento, dunque. “Nessuno e non parlo solo dell’aspetto economico. Nei giorni successivi alla morte di Salvatore non sapevano più che cosa promettere, perfino una strada volevano intitolargli. E poi? Da una settimana all’altra si sono dileguati.” Il processo, intanto, si è concluso. “Da più di un anno, per la precisione il 19 marzo del 2022. Dovrebbero darci 150mila euro e invece continuano a rimpallarsi le responsabilità con i proprietari dei palazzi dai quali sono caduti i calcinacci. Solito scaricabarile, stavolta però sulla pelle di un ragazzino di 14 anni: è inaccettabile. Inaccettabile e vergognoso.”

Diceva che non è solo una questione economica. “Certo che no. Nessuno ci ridarà nostro figlio purtroppo, ma anche una targa, un riconoscimento alla memoria, un premio, un’iniziativa, qualcosa che potesse ricordare alla città il suo sacrificio, avrebbe rappresentato un grande conforto per tutti noi.” Perché ha deciso di ricordare la storia di suo figlio proprio adesso? “Una ragione c’è. La morte del povero Giogiò Cutolo, il giovane musicista ammazzato senza pietà in piazza Municipio per mano di un sedicenne criminale, mi ha fatto rivedere un film già visto. Quello della nostra tragedia, il dramma che abbiamo vissuto. E poi le frasi di rito, gli abbracci di circostanza, le telecamere, i giornalisti e il cordoglio di un mondo politico pronto a darsela a gambe appena non ci sono più interviste da rilasciare.”

Torniamo alle responsabilità dell’incidente. “I giudici ritengono che siano del Comune. Il punto dal quale sono avvenuti i distacchi non ha nulla a che vedere con le abitazioni private. Tra l’altro, fu proprio il Comune a finanziare i lavori di manutenzione straordinaria per la copertura della galleria Umberto I. E due giorni dopo l’incidente, l’ordinanza di chiusura la emanò il sindaco. Ma la cosa ancora più grave è un’altra.” Quale? “Prima che mio figlio ci lasciasse la vita c’erano state diverse segnalazioni che denunciavano la caduta di calcinacci. Non solo. Quelle stesse segnalazioni furono accompagnate anche da un paio di interrogazioni da parte di un consigliere comunale che aveva capito la gravità della situazione.”

D’altronde, in quell’area ci passano migliaia di persone ogni giorno. “Qualcuno l’aveva detto che prima o poi ci sarebbe scappato il morto. Purtroppo, però, nessuno prese provvedimenti e il mio ragazzo ha pagato per tutti. Eppure sarebbe stato sufficiente transennare il marciapiede in attesa di mettere la zona in sicurezza. Ma anche in questa occasione vinse lo scaricabarile.” Solita diatriba tra Comune e privati? “Solita. A ogni segnalazione di pericolo che riceveva, il Comune rispondeva di non avere alcuna responsabilità: doveva pensarci il condominio, in ogni caso l’amministrazione comunale avrebbe avuto l’obbligo di imporre i lavori di messa in sicurezza, e non andò così.”

Ora, che cosa intende fare? “Più di quello che ho fatto non posso. I miei avvocati mi dicono di credere ancora nella giustizia e spero davvero che continui a fare il suo corso con l’obiettivo di tutelare i più deboli. Mi appello anche al sindaco Manfredi, l’ultima volta che con mia moglie siamo stati a Palazzo San Giacomo era impegnato in una premiazione, non lo abbiamo neanche visto. Ha una figlia anche lui, si ricordi del mio.”

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