Il virus respiratorio sinciziale (VRS) è responsabile di molte infezioni respiratorie gravi, tra cui la bronchiolite, che spesso richiede il ricovero in ospedale. Secondo il dottor Aurelio Occhinegro, segretario della Fimp Salerno, il 50% delle infezioni respiratorie che richiedono il ricovero ospedaliero è causato solo dal VRS. Nei primi due anni di vita, oltre il 90% dei bambini contrarrà il VRS, in forme più o meno lievi: uno su cinque avrà bisogno di una visita ambulatoriale e uno su 50 dovrà essere ricoverato in ospedale. Dell’81% dei ricoverati, il 63% ha meno di tre mesi di età. Inoltre, il 48% degli ospedalizzati corre il rischio di sviluppare un’asma grave.

Il ricovero ospedaliero è purtroppo necessario perché, come ha spiegato Occhinegro, la maggior parte dei pazienti sono neonati o lattanti, difficili da monitorare e trattare a casa. Inoltre, l’unica terapia efficace per la bronchiolite grave è l’ossigenoterapia, mentre la terapia con cortisonici o aerosol non è sufficiente e l’uso di antibiotici è limitato alla terapia di supporto o in caso di infezioni concomitanti.

Considerando il numero elevato di ospedalizzazioni e i costi sanitari e sociali ad esse associati, sembrerebbe che la strada migliore sia la vaccinazione di massa. Tuttavia, a causa della precocità dell’incidenza della malattia, la vaccinazione nei primi giorni di vita non garantirebbe un’immunità sufficiente per proteggere il neonato. Pertanto, finora si è optato per l’immunizzazione passiva mediante l’uso di un anticorpo monoclonale chiamato palivizumab, che offre una protezione temporanea. Inoltre, gli anticorpi trasmessi da una madre vaccinata durano circa sei mesi nel neonato. Tuttavia, il palivizumab deve essere somministrato più volte, fino a cinque-sei volte, per coprire il periodo “critico”. Questo ha portato a un utilizzo molto limitato del farmaco, anche considerando che molti dei pazienti ricoverati erano soggetti sani senza altri fattori di rischio.

Ora si sta considerando l’introduzione di un nuovo anticorpo monoclonale chiamato nirsevimab, che garantisce una protezione simile a quella degli anticorpi materni, cioè circa sei mesi. Nonostante il costo non sia trascurabile per il Servizio Sanitario Nazionale, sarebbe molto inferiore a quello del palivizumab. Somministrato nelle prime fasi di vita, potrebbe garantire una copertura durante il periodo invernale.

Dal punto di vista della strategia sanitaria, si potrebbe ipotizzare di immunizzare i neonati durante il periodo stagionale a rischio per contenere la diffusione della malattia. Successivamente, in base ai risultati ottenuti e alla prevista diminuzione dei costi, si potrebbe estendere la vaccinazione a tutti i neonati in attesa di un vaccino universale efficace fin dalle prime fasi della vita.

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