Undici ragazzi e ragazze, studenti della scuola media «Edoardo Nicolardi» in via San Giacomo dei Capri, persero la vita il 26 aprile del 1983 in una gita scolastica diretta al lago di Garda. Mercoledì prossimo saranno passati 40 anni dalla tragedia che ha lasciato un segno indelebile nella memoria di un intero quartiere napoletano. Il quartiere Vomero-Arenella, media borghesia, fu devastato dalla notizia della morte dei “undici fiori del Melarancio”. La galleria del Melarancio sull’autostrada A1 fu lo scenario dell’incidente. Il bus con a bordo 48 ragazzi e ragazze, cinque ex alunni della scuola già diplomati, e tre docenti accompagnatrici, entrò nella galleria su corsia unica per lavori in corso, nei due sensi di marcia. Nella galleria entrò dal lato opposto un enorme autoarticolato che trasportava un tubo di 130 tonnellate. Lo spazio era stretto, nella galleria l’impatto assassino fu inevitabile. La bomba di cemento sull’autoarticolato squarciò il bus dei ragazzi. Fu morte, panico, terrore, nel buio della galleria.

La notizia fu data in televisione, i genitori corsero alla scuola per sapere. Daniela Lombardo aveva allora 11 anni, il fratello Alfredo era a quella gita e fu una delle undici vittime. Racconta: «Tornavo dalla ginnastica allo stadio Collana, ero con i miei genitori. Il custode del nostro palazzo ci disse: “Ma non andate alla scuola per sapere cosa è successo? C’è stato un incidente sul bus della gita”. Mia madre ebbe un malore. Poi si riprese. Mi lasciarono a casa di un’amichetta e corsero alla Nicolardi per sapere con gli altri. Mi dissero poi di un caos indescrivibile, di scene di pianto, incertezza totale. Nessuno sapeva con esattezza chi era vivo e chi già morto». Ore e ore di confusione. Poi a notte fu organizzato il viaggio dei familiari, in cerca dei loro ragazzi. A loro si unì anche il sindaco Valenzi. Corsero negli ospedali a Scandicci e Firenze. Il nome di qualche vittima si conosceva già, ma i familiari furono tenuti all’oscuro fino all’arrivo in ospedale. Quando poi si seppe, i numeri furono drammatici: undici morti, 38 feriti.

A distanza di anni, c’è chi ancora non è riuscito a superare quel trauma, il senso di colpa di essere sopravvissuto. Uno dei sopravvissuti è Guglielmo Finazzer, uno degli sceneggiatori storici di «Un posto al sole». Rimase lievemente ferito, ma è tra quelli che ancora dopo tanti anni non riescono a parlare in pubblico di quelle terribile esperienza. Come lui, altri non riescono a raccontare in pubblico. Sulla tragedia del Melarancio a giugno uscirà un docu-film del regista Luca Miniero. Mercoledì prossimo, alla scuola «Nicolardi» una manifestazione di ricordo, con il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e i familiari. Il largo dinanzi la chiesa Santa Maria della Rotonda, dove si terrà una messa, ha una lapide con incisi i nomi dei ragazzi morti. Quel largo si chiama «Undici fiori del Melarancio». Al cimitero sono tutti sepolti in un’unica cappella donata dal Comune. Fu intenso e commovente, allo stadio Collana del Vomero, il funerale del 28 aprile 1983 con trentamila persone. Fu un avvenimento unico, che fermò un quartiere e colpì l’intera città. A Scandicci, in Toscana, comune della galleria del Melarancio, ricordano ogni anno la tragedia e hanno intitolato agli «undici fiori del Melarancio» un complesso sportivo.

Sono passati 40 anni, alle famiglie delle vittime fu riconosciuto un risarcimento di circa 200 milioni di lire. Al processo per omicidio colposo furono condannati i due autisti e il responsabile della Polstrada che precedeva l’autoarticolato. La città di Napoli non può dimenticare quei ragazzi.

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