Omicidio di Giulio Giaccio: richiesta di condanna per i presunti mandanti
Il pubblico ministero Giuseppe Visone, in forza alla Dda di Napoli, ha richiesto trent’anni di reclusione per Salvatore Cammarota e Carlo Nappi, presunti mandanti dell’omicidio di Giulio Giaccio avvenuto ventitré anni fa. I due, già detenuti per altri reati, sono ritenuti dagli inquirenti esponenti di spicco del clan Polverino. Inoltre, il pubblico ministero ha chiesto dieci anni di reclusione per Roberto Perrone, collaboratore di giustizia e referente di Giuseppe Polverino nel comune di Quarto.
Cammarota e Nappi hanno optato per il rito abbreviato al fine di evitare la condanna all’ergastolo. Durante l’udienza, ieri, erano presenti i legali della famiglia Giaccio, che si è costituita parte civile. È il pentito Roberto Perrone a raccontare cosa accadde nel luglio di ventitré anni fa: “Conducemmo il ragazzo in una Fiat Uno rossa, la stessa auto che avevamo utilizzato per altri delitti. Ci fingemmo militari dell’Arma e prima di prelevare Giaccio, ero stato a casa di Salvatore Cammarota. Attraverso una scala segreta, mi recai successivamente nell’abitazione di Nappi. Con lui c’erano altri affiliati al clan”. Pochi minuti dopo, un uomo riferì a Cammarota che il ragazzo che cercavano si trovava nei pressi di un bar, a bordo di una moto Transalp rossa. Cammarota mi disse di andarlo a prelevare nella zona delle Vaccarelle, ma mi fece capire solo che avremmo dovuto dargli una lezione. Pensavo si trattasse di un pestaggio”.
È sempre Perrone a fornire ulteriori dettagli: “Dicemmo al giovane di entrare in auto poiché avremmo dovuto eseguire un controllo di routine in caserma. Durante il percorso, un altro affiliato presente in auto disse a Giulio di chinare la testa, di appoggiarla sulle ginocchia e stare zitto. Pochi secondi dopo gli sparò alla testa. Rimasi sconvolto”. Questa ricostruzione è stata confermata anche da un altro collaboratore di giustizia, Giuseppe Simioli, alias “o Petruocelo”, che fu numero due del clan Polverino. Simioli riferì che l’omicidio avvenne perché si riteneva che il ragazzo intrattenesse una relazione con la sorella di Cammarota, considerata sconveniente perché divorziata. Dopo l’uccisione, il corpo di Giulio fu trasportato in un’altra zona di Marano, dove fu sciolto nell’acido e i resti furono fatti sparire.
L’indagine sull’omicidio Giaccio, riaperta nel 2015, ha ottenuto una svolta grazie alle dichiarazioni dei pentiti, in particolare di Perrone e Simioli. La sentenza sul caso sarà emessa a febbraio. La famiglia Giaccio, che ha rifiutato un risarcimento proposto dagli imputati, dichiara di volere solo giustizia.