Due famiglie sono in attesa di una risposta che potrebbe non arrivare mai. Da un lato c’è chi è stato imputato da dieci anni e attende di conoscere il suo destino, dall’altro c’è chi vuole sapere se un proprio caro è morto per responsabilità di qualcuno o per un evento fortuito.

La storia ha inizio nel 2009, quando Gianfrancesco Carullo perde la vita in un drammatico incidente sul lavoro, cadendo da un carrello elevatore utilizzato come scala. Gli avvocati della famiglia della vittima temono che il processo possa chiudersi per prescrizione del reato di omicidio colposo, poiché sono passati molti anni e i termini massimi per il reato potrebbero essere raggiunti.

Durante le udienze, è emerso che l’imprenditore imputato non solo non ha rispettato gli obblighi di sicurezza sul lavoro, ma ha anche una responsabilità attiva nell’incidente. Il giudice decide quindi di rinviare gli atti al pubblico ministero per una nuova formulazione del capo di imputazione, poiché l’imputato deve essere accusato di un fatto diverso, ovvero di essere stato lui alla guida del carrello durante l’incidente.

I tempi si allungano, il pubblico ministero deve riformulare l’accusa e l’avvocato della famiglia Carullo sollecita la procura e il tribunale per evitare la prescrizione del reato. Dopo un cambio di giudice, il processo arriva al giudice Meccariello, che però si astiene poiché ha già seguito la vicenda come gip. Si arriva quindi al quinto giudice, il giudice monocratico Pacelli, che dovrà stabilire le responsabilità dell’incidente.

Siamo arrivati ai giorni nostri, quindici anni dopo l’incidente, e la famiglia Carullo ancora attende una verità processuale. Dall’altra parte, c’è un imprenditore che si proclama innocente e vive in una sorta di limbo infinito, senza sapere se sarà condannato o se la prescrizione chiuderà definitivamente il processo.

È una situazione incredibile, in cui una famiglia aspetta da oltre un decennio di conoscere la verità sulla morte del proprio caro e un imprenditore vive nell’incertezza. È una storia che ha bisogno di una risposta, almeno in primo grado, per dare un minimo di giustizia sia alla parte civile che agli imputati.

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