La recente decisione di Francesco “Sandokan” Schiavone, storico boss dei Casalesi, di collaborare con la giustizia ha scosso il mondo della criminalità organizzata in Campania. Dopo 26 anni di detenzione e 14 ergastoli, Schiavone ha deciso di cambiare vita e impedire che suo figlio Ivanhoe prenda il suo posto. Questo pentimento strategico ha portato alla sua collaborazione con il procuratore nazionale antimafia Gianni Melillo e il pm della Dna Antonello Ardituro.
Le indagini si concentrano sulla cassaforte del clan e sulle reti di protezione che hanno permesso alla mafia campana di prosperare fino al 2008. Il trasferimento di Schiavone da un carcere all’altro è stato giustificato con motivi di salute, ma in realtà è stato il primo passo per avviare la sua collaborazione con la giustizia. Le indagini si concentrano sui canali di investimento e riciclaggio del denaro sporco, ma anche sulle protezioni e i contatti che hanno permesso alla mafia di mantenere il suo potere.
La strategia investigativa si focalizza sui capitali e sulle protezioni, andando oltre la violenza e gli omicidi che sono stati il marchio di fabbrica del clan. Si indaga sulle connessioni tra la criminalità organizzata e il mondo imprenditoriale, alla ricerca di prove che possano portare a svolte significative nel processo. Si parla di subappalti legati a grandi commesse nazionali e di finanziamenti occulti per il mondo politico locale.
La storia di Schiavone è legata a quella dei Casalesi fin dai tempi di Antonio Bardellino, fondatore del clan scomparso misteriosamente. Schiavone potrebbe ora contribuire a fare luce su quegli eventi e sulla sua lunga carriera criminale. La sua collaborazione potrebbe aprire nuovi scenari nella lotta alla criminalità organizzata in Campania, svelando le connessioni tra la mafia e l’economia pulita.